Conosci il vino
Vino è interpretazione di un’annata. Delle sue piogge o della sua siccità, del rigore del suo inverno o della sua mitezza. Non si ripeterà dunque. Ogni anno è nuova nascita, per quanto all’insegna dello stesso nome. Ogni anno nuova melodia.
Rispondendo a questa forma di sentire, il vino è per noi esito di un lungo tempo trascorso in vigna, non obbiettivo a cui la vigna viene indirizzata.
Così i sei vini nati dal nostro percorso, della vigna interpretano le inclinazioni e le possibilità, senza sottoporle ad una successiva forzatura di cantina, ad un suo secondo concepimento.
Nascono due Verdicchi (“Il Gentile” ed “Il Grottesco”), ad esprimere, da un lato, il potenziale giovane dell’uva in quel terreno, nella lama tesa dell’acidità, nella freschezza vigile del sentore minerale, dall’altro la profondità strutturata e complessa del suo volto maturo, la sua caparbia finezza nell’incontro con il tempo e con la macerazione.
Nasce “Rebecca”, il rosato di solo Montepulciano, a celebrare la nascita di un fiore voluto ed inatteso, e a parlare di un’uva rossa, ruvida e proterva, folle e un po’ selvatica, del suo rapporto mite e generoso con un terreno fresco e verde, dove la linea dell’acidità trova la sua massima espressione.
Nasce “Benedetto”, il Rosso buono che inneggia all’amore di un amico, e tiene insieme le tre uve rosse, classiche, eppure, qui, tanto singolari: Montepulciano, Sangiovese e Cabernet Sauvignon, frammenti di tante varietà in poco spazio, onda buona che –a fine di vendemmia- tutto riconduce ad uno.
Nascono gli Spumanti "Gioiamia" nel 2014, "Scompiglio" nel 2016, metodo classico il primo, ancestrale il secondo. Bollicine di Verdicchio che disseminano di festa la cantina, facendo di ogni anno nuovo il mistero di un inizio, l'incanto di una celebrazione.
La cantina accoglie la fioritura della vigna nella linea della più assoluta semplicità, evitando ogni approccio che possa essere invasivo.
Così le pressature-svolte con torchio pneumatico- sono molto lievi, alla ricerca del solo mosto fiore; i travasi vengono svolti solo se necessario, e i mosti vengono lasciati in contatto per tutto il tempo evolutivo con la loro feccia fine, esito di una prima sfecciatura dopo la decantazione statica di un giorno e di una notte.
La stessa feccia fina, che è poi il corredo dei lieviti precipitati a fondo vasca, viene messa in movimento frequentemente mediante “battonage”, al fine di rilasciare al vino la profondità complessa del suo corpo e di preservarlo dall’ossidazione.
Il tentativo principale di cantina è quello di portare tutti e sei i vini alla fermentazione spontanea, ossia non inoculare i lieviti selezionati, bensì lasciare che il vino nasca dal suo proprio potenziale, dai lieviti di cantina a quelli sulla buccia.
E’ infatti il lievito l’ossatura della personalità di un vino, l’artefice della sua individualità, del suo corredo imprevedibile di profumi, di sentori, di incanti e anomalie.
E’ il lievito il direttore d’orchestra della vasta sinfonia in un mosto.
Per quanto riguarda la solforosa e le altre operazioni di cantina, i nostri vini restano al di sotto dei 30mg/l e non conoscono filtrazioni di nessun tipo, né chiarifiche.
Così la cantina resta luogo ancillare alla vigna nella genesi del frutto, madre seconda, utero di solo accompagnamento, mano discreta e impercettibile che accompagna e non nasconde, educa senza costringere, sostiene senza forzare, lascia esprimere senza correggere.